PRETI A DOMICILIO

Chi è?

Buongiorno, sono della parrocchia.

Buongiorno.

Ci risulta che lei convive da due settimane con la sua... come dire?

La mia compagna, sì.

Ecco, mi rincresce disturbarvi a quest’ora di domenica --

Non si preoccupi, le campane della chiesa ci avevano già svegliati.

Sono stato incaricato di darvi qualche ragguaglio sul corretto comportamento da tenere durante le copule. Non so se siete al corrente, ma certe pratiche sessuali possono essere molto pericolose.

Pericolose?

Per l’anima.

Ah, non si disturbi, noi non siamo cattolici.

Questo per me non è un problema. Posso entrare?

Non so, non abbiamo molto tempo... quanto pensava di fermarsi?

Tutta la vita.

Nel senso --

Tutta la vita.

Ho capito.

Devo assicurarmi che seguiate i dettami impartiti dalla Santa Sede in fatto di contatto fisico e spargimento di fluidi.

Ah.

Ho portato anche la macchina fotografica.

Ci farebbe molto piacere poterla ospitare, sul serio, ma purtroppo abbiamo una camera sola.

Non preoccupatevi per questo, starò benissimo nel lettone con voi.

Nel lettone?

Avete un lettone, no?

Sì.

Bene, così magari vi do una mano.

Mi scusi, posso sapere quali sono le sue competenze in campo sessuale?

Nessuna competenza.

Okay, entri pure.

LA BOTTEGA DELL’ANIMALE

Buongiorno, vorrei un animale da compagnia.

Come lo desidera?

Tenero, estroverso e non troppo peloso.

Un criceto.

Preferirei qualcosa di più grande.

Un capibara, allora.

Cos’è?

Tipo il criceto, ma più grande.

Non avete qualcosa di meno roditore?

Non le piacciono i roditori?

No.

Quest’anno vanno molto.

Sì, ma non sono molto affettuosi.

Non mi aveva detto che lo voleva anche affettuoso.

È per mia moglie.

Non si giustifichi, tutti abbiamo bisogno di affetto. Preferisce un animale da passeggio o da trastullo?

Da passeggio.

Abbiamo un bellissimo esemplare di iguana adulta delle Galapagos. Vado un attimo a vedere che non sia estinta.

Lasci stare.

All’occorrenza può anche essere una graziosa borsetta.

Niente rettili.

Allora forse le può interessare uno scarabeo stercorario.

Non so...

È molto affettuoso.

Da trastullo cos’avete?

Abbiamo il bisonte nordamericano, il tarsio, la scimmia urlatrice e la vongola.

Non avete qualcosa di più normale? Ogni tanto mi piacerebbe anche accarezzarlo.

Allora lei vuole un animale morbido.

Sì.

Tenero, estroverso, non troppo peloso, affettuoso, trastullabile e morbido.

Sì.

Quante zampe?

Non più di quattro.

Non mi dica che vuole un cane.

Be’, effettivamente --

Purtroppo i cani li abbiamo finiti. Se vuole abbiamo una fregata, animale non molto dissimile dal cane.

La fregata?

Lo sapeva che il novanta percento del patrimonio genetico del cane è in comune con quello della fregata? L’unica differenza è che la fregata vola, ma se vuole possiamo toglierle le ali.

No, non fa niente.

Ci vuole un attimo.

Sono più orientato su animali integri.

Quindi, riassumendo: tenero, estroverso, non troppo peloso, affettuoso, trastullabile, morbido e integro.

Sì.

È la descrizione sputata del limulo. Guardi che bellezza.

Gesù Cristo!

No, si chiama limulo

Non ha un po’ troppe zampe?

Aspetti, ora le conto.

Lasci stare, prendo un figlio.

RIPRODUZIONE IN SERIE

Il cervello umano non è programmato per studiare l’universo o farsi domande sul senso dell’esistenza, è programmato per adattarsi in fretta all’ambiente circostante e mettere al mondo il maggior numero possibile di figli in quei pochi anni che ha a disposizione. Cose come la Critica della Ragion Pura o la Teoria della Relatività sono incidenti di percorso, non il normale punto di arrivo di un cervello. Chi cita Einstein come esempio della grandezza del genere umano (e quindi, indirettamente, della propria) sbaglia, perché un esempio per essere buono deve essere tipico, non eccezionale, e un tipico esempio della grandezza del genere umano è Gasparri, non Einstein.
Quando un cervello viene al mondo, per prima cosa si guarda intorno attraverso il suo sofisticato sistema audiovisivo, poi passa subito a copiare tutto quello che vede e sente. Tutto. Non importa che senso abbia o non abbia, lui guarda e riproduce tutto tale e quale, come una fotocopiatrice. Prima lo riproduce con la voce e i gesti, poi con i comportamenti e alla fine anche materialmente, mettendo al mondo tanti altri cervelli identici a lui. Copia e incolla, ecco come funziona il cervello. Per questo motivo la religione giusta è sempre quella dove sono nato, la gente civile è quella del mio paese e nessuno fa il pane buono come qui da noi. L’obiettivo del cervello non è la scoperta di cose nuove, ma la riproduzione di quelle vecchie. Ovviamente questo non significa che il cervello sia stupido, anzi è un organo molto intelligente, solo che la sua intelligenza è finalizzata al copia e incolla, non alla conoscenza. Quando uno scopre qualcosa di nuovo (ogni tanto succede), riesce a scoprirlo non grazie al suo cervello, ma nonostante il suo cervello. Scoprire una cosa nuova significa sconfiggere il proprio cervello, quindi non bisognerebbe gridare “eureka!” ma “t’ho fregato, bastardo!”.
Se il cervello umano fosse fatto per la cosmologia, la filosofia e la conoscenza in generale, il suo algoritmo sarebbe questo


Ma purtroppo non funziona così. Il punto di partenza dell’algoritmo non è mai una domanda, ma una risposta: i maiali volano. Una risposta copiata da genitori, preti e insegnanti e subito diligentemente incollata nei neuroni. Il cervello non va in giro per il mondo con una domanda in cerca della risposta, come di solito si dice, ma va in giro per il mondo con una risposta in cerca della possibilità di riprodurla, e se disgraziatamente un dato oggettivo transita nel suo campo audiovisivo, il cervello cerca di scacciarlo. Il vero algoritmo del cervello è questo

CORRENDO

IL METODO REPORT

Tanto tempo fa, forse qualcuno lo ricorda ancora, era usanza avere in casa un elettrodomestico sonoro/luminoso non interattivo adibito alla promozione di carne in scatola, abbonamenti telefonici, caramelle gommose e altre cose più o meno cancerogene. Era chiamato “televisore” e, fra le altre cose, diffondeva nell’ambiente una cosiddetta “trasmissione” denominata Report, che tutti però si ostinavano inspiegabilmente a chiamare “Réport”, benché fino al 2002 d.C. l’avessero sempre chiamata “Repòrt” e in tutto il mondo si dicesse “Uipóch”. Detta trasmissione si proponeva vari obiettivi, fra cui quello di dimostrare la cancerogenicità delle cose che, suo malgrado, contribuiva a promuovere. Ma questo non era il suo difetto.
Il difetto di Report era il metodo che spesso usava per redigere i suoi report. Ma a dir la verità nemmeno questo era un difetto propriamente suo, ma piuttosto un difetto del cervello umano, e quindi, solo in quanto trasmissione umana, anche un difetto di Report. Nessuno però sembrava fare caso a questo difetto, dal momento che a quel tempo il cervello era ancora visto di buon occhio.
Il metodo Report, ma potremmo anche chiamarlo il metodo cervello, consisteva fondamentalmente nel:

1) Chiamare “verità” ciò che si dà per scontato sia vero prima di mettersi a cercare, e sottolineo “prima”.
2) Cercare ciò che conferma la verità e ignorare ciò che la contraddice.
3) Dividere il mondo in agenti del male e gente per bene, dove i primi sono quelli che negano la verità (hanno secondi fini) e i secondi sono quelli che la affermano (non hanno secondi fini).
4) Torchiare gli agenti del male, incalzarli con domande scomode, mettere in dubbio tutto quello che dicono e, eventualmente, sbeffeggiarli.
5) Lasciarsi versare nelle orecchie senza opporre resistenza tutto quello che dice la gente per bene.

Sbeffeggiare un agente del male può a prima vista sembrare una cosa sacrosanta, se però si applicano le definizioni di “agente del male” e “verità” date sopra, si ha che “sbeffeggiare un agente del male” diventa “sbeffeggiare chi nega ciò che io do per scontato sia vero prima di mettermi a cercare, e sottolineo prima”. Questo non sembra più molto sacrosanto.
Ai primi cinque punti del metodo Report se ne aggiunge poi un sesto, che potremmo chiamare il punto prezzemolo

6) La catastrofe è vicina.

Ricordo ai più giovani che il prezzemolo era una pianta erbacea del mediterraneo usata come ingrediente di moltissimi piatti, da cui il detto “essere come il prezzemolo”, oggi ancora molto diffuso in tutto il settore B.
Uno dei casi in cui il metodo Report si è mostrato in tutta la sua drammatica evidenza è la puntata del 27 novembre 2011 dedicata ai possibili danni alla salute provocati dai telefoni cellulari, gli apparecchi che a quel tempo venivano usati per comunicare a grandi distanze, o anche a piccole distanze se proprio uno voleva buttare i soldi. In quella puntata la verità data per scontata era che i cellulari facessero venire il cancro al cervello, cosa in parte confermata dall’OMS che proprio nel marzo di quell’anno aveva classificato questi apparecchi come “forse cancerogeni”, cioè il livello di pericolosità immediatamente sotto a “probabilmente cancerogeni” e immediatamente sopra a “presumibilmente cancerogeni”. Ma questo a Report non bastava, perché Report aveva puntato tutto sulla casella “sicuramente cancerogeni anzi guarda muoio subito”. Il problema del metodo Report, lo dico anche se ormai è tristemente noto a tutti, non era tanto che la verità data per scontata potesse essere falsa, ma che fosse appunto data per scontata. Chi dice una cosa vera basandosi su una premessa falsa non è uno che sta dicendo la verità, ma uno che sta tirando a indovinare. La verità può essere detta solo da chi l’ha cercata, non da chi dice cose a caso.
Così quella domenica sera di novembre i televisori diffusero nelle case di milioni di persone completamente ignare la sistematica e spietata applicazione del metodo Report: ogni volta che l’autrice dell'inchiesta aveva a che fare con qualcuno che sosteneva cose, non dico tranquillizzanti, ma anche solo un po’ meno preoccupanti di “sicuramente cancerogeni anzi guarda muoio subito”, questo qualcuno veniva torchiato, incalzato, messo in dubbio e, naturalmente, sbeffeggiato


quando invece aveva a che fare con chiunque confermasse le sue tesi, fosse stato anche il primo che passava per il CNR, allora lo ascoltava in silenzio con la massima attenzione, e avrebbe anche preso appunti se solo non avesse già saputo a memoria tutto quello che l’intervistato diceva. Se per esempio un agente del male diceva che i cellulari erano “sicuramente cancerogeni ma se permetti muoio più tardi con calma”, l’autrice faceva notare che costui era pagato dalle ditte costruttrici di cellulari e dunque aveva tutto l’interesse a nasconderne l’effettiva dannosità, ma se una persona per bene diceva che i cellulari erano “sicuramente cancerogeni anzi guarda muoio subito”, allora l’autrice non aveva niente da obiettare, benché questa persona per bene dicesse apertamente di essere pagata dalle sedicenti vittime dei cellulari. Com’era possibile? Un ricercatore era inattendibile perché pagato da una parte in causa, e un altro ricercatore era attendibile benché pagato dall’altra parte in causa? In realtà ciò che nel metodo Report rendeva attendibile un ricercatore non era chi lo pagava, ma quanto fossero gradite le cose che diceva: più uno diceva che i cellulari erano cancerogeni più era attendibile e in quella puntata il ricercatore più attendibile diceva che, lo ricordo ancora come se fosse la settimana scorsa, i cellulari aumentavano di cinque volte le probabilità di avere un cancro al cervello. La catastrofe era vicina.
In realtà “cinque volte” non è necessariamente inquietante, anzi può addirittura essere tranquillizzante. Tutto dipende da quanto vale la probabilità (P) di avere un cancro al cervello senza cellulare, perché è ovvio che se non si dice quanto vale P, non si può dire niente nemmeno di 5×P. Se per esempio P fosse 10%, allora 5×P sarebbe 50%, cioè una catastrofe, ma se P fosse 0,01%, 5×P sarebbe solo 0,05%, cioè trascurabile tanto quanto P. Sapere che c’è una probabilità su diecimila che piova o sapere che ce ne sono cinque su diecimila non fa nessuna differenza: in entrambi i casi si può tranquillamente uscire senza ombrello. Poi magari piove, ma in tal caso bisogna parlare di sfortuna, non di incoscienza. Ciò nonostante, se per il singolo individuo 0,01% e 0,05% sono entrambi circa zero, lo stesso non si può dire per una popolazione di sessanta milioni di abitanti, quanti erano allora gli abitanti di quella regione del mondo chiamata “Italia”, dal momento che in questo caso passare da P a 5xP significa avere 24000 malati in più. Se però P fosse 0,0001%, 5×P sarebbe un numero trascurabile tanto per il singolo quanto per l’intero sistema sanitario nazionale.
Non erano concetti difficili, ma per vederli bisognava riuscire per un attimo a smettere di amarsi, perché in fondo il metodo Report non era altro che uno dei tanti strumenti che la Natura, molto generosa in questo, aveva messo a disposizione del cervello umano per permettergli di amarsi senza dover fare lo sforzo di trovare motivi validi per farlo.
Però su una cosa Report aveva ragione, la catastrofe era veramente vicina, anche se non per colpa del cancro al cervello, ma per colpa del cervello.

PERCHÉ?

Perché il prosciutto crudo è salato?

Perché si conserva.

Perché il sale conserva?

Perché uccide i microrganismi.

Perché?

Perdono l’acqua.

Perché?

L’acqua fluisce dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata.

Perché?

Perché la membrana cellulare lascia passare le particelle neutre e non gli ioni.

Perché?

Interazione elettromagnetica.

Perché?

α = 0,00729735257

Perché?

Infiniti universi.


“Infiniti universi” sta diventando la risposta per tutto. Perché la costante di struttura fine è 0,00729735257? Infiniti universi. Come si spiega il paradosso EPR? Infiniti universi. Dove ho messo gli occhiali? Infiniti universi.
Se non fosse per le persone che si chiedono sempre il perché di ogni cosa, l’universo sarebbe solo una grossa decorazione natalizia appesa sopra le nostre teste, cioè una cosa carina e rassicurante, ma falsa, e siccome io preferisco essere turbato dalla verità che rassicurato dalle bugie, dico che è un’ottima cosa chiedersi sempre perché, ma questo non significa che tutto abbia un perché.
Una domanda su cui i fisici si arrovellano da un po’ di tempo a questa parte è perché le costanti di natura hanno i valori che hanno, cioè precisamente calibrati in modo da permettere la vita umana. Se per esempio il valore di α fosse 12, tanto per dire un numero a caso, a quest’ora non ci sarebbero né il prosciutto né tanto meno qualcuno a porsi il problema della sua conservazione. E non è solo α a essere così, c’è tutta una lista di costanti e leggi fisiche che, se fossero solo un po’ diverse da come sono, renderebbero l’universo inabitabile. Intendo molto più inabitabile di adesso. Perché? Le risposte che normalmente si danno sono tre.

1) C’è sotto qualche sconosciuta legge fisica.
2) Infiniti universi.
3) Dio.

La risposta 3 la scartiamo subito, visto che è la solita scappatoia metafisica. Chissà perché ogni volta che in una catena di domande si arriva a un punto critico, alla gente sembra più logico rispondere “Dio” invece che “non so”. Mille anni fa, quando non si sapeva niente di ioni e membrane cellulari, la catena del prosciutto sarebbe stata così.


Perché il prosciutto è salato?

Perché si conserva.

Perché il sale conserva?

Dio.


La risposta 1 è invece la risposta di chi non sa, ma pensa che se α è così è perché c’è sotto un qualche β attualmente sconosciuto, e se β è così è perché c’è sotto un γ, e così via. In questo modo i fisici avrebbero il lavoro garantito per sempre (quando finisce l’alfabeto greco, si può tranquillamente passare agli ideogrammi cinesi), anche se questo li condannerebbe alla frustrazione eterna. Infatti il sogno di ogni fisico teorico che si rispetti è quello di arrivare un giorno in fondo alla catena di domande, cioè di trovare finalmente una risposta unica, semplice e definitiva a tutto quanto, come il famoso 42 di Douglas Adams. Peccato che subito dopo si chiederebbe: perché 42? L’unica speranza per un fisico di sentirsi veramente soddisfatto è che la risposta definitiva coincida col punto di partenza.


Perché α = 0,00729735257?

Perché il prosciutto è salato.


Questo sì che sarebbe appagante, ma non credo che sia molto semplice introdurre il concetto di prosciutto nei diagrammi di Feynman.
Infine c’è la risposta 2, la risposta degli infiniti universi che oggi va tanto di moda, un po’ come a suo tempo l’hula hop. Chi la sostiene fa grosso modo il seguente sillogismo:

a) Niente costringe le costanti di natura a essere come sono.
b) Se fossero diverse noi non esisteremmo.
c) Allora ci sono tanti universi quanti sono tutti i possibili valori delle costanti e noi viviamo nell’unico universo in cui possiamo esistere.

Ovviamente i cosmologi che sostengono la tesi degli infiniti universi non lo fanno solo in base a questa argomentazione, non sono mica pazzi, però questa è sicuramente una delle argomentazioni, diciamo l'argomentazione filosofica.
Forse la risposta degli infiniti universi è quella giusta e, devo dire, a me non dispiace per niente (a parte il nome “multiverso”, o “megaverso” come lo chiama qualcuno, che mi fa sempre venire in mente un gigantesco rutto cosmico), forse ci sono veramente tantissimi universi scollegati l’uno dall’altro, ognuno con le sue costanti, le sue particelle e le sue particolari leggi fisiche, però una cosa è certa: quel sillogismo è sbagliato. Se ne accorgerebbe anche Aristotele.
Dire “se le costanti fossero diverse” significa già mettersi in una dimensione extrafisica (stavo per scrivere metafisica) e immaginare che i valori delle costanti di natura possano essere estratti a caso come i numeri della lotteria, cioè significa già ammettere che ci sia un contesto più grande dell’universo in cui viviamo: un multiverso, appunto. In pratica la premessa b) include già la conclusione c), quindi il sillogismo è sbagliato.
Per qualche motivo sembra che nessuno prenda mai in considerazione l’idea che la catena delle domande possa avere una fine. È come se tutti dessero per scontato che per ogni cosa debba sempre esserci un perché, o un perché fisico, o un perché extrafisico, o un perché metafisico. Ma su cosa si basa questa convinzione? Cosa vieta a una povera piccola costantina di essere quello che è così, senza nessun motivo? Farsi delle domande è un’ottima cosa, ma niente garantisce che abbiano anche una risposta.


Perché α = 0,00729735257?

Magari è così e basta.


Certo, poi succede che punti l’Hubble Space Telescope alle coordinate 10h 01m 37.4s +02d 31m 04s e vedi questo.

IL QUADRO

TONSILLOCENTRISMO

Perché a teatro la gente tossisce? La risposta più semplice sarebbe: perché ha la tosse. Ma io non ci credo, mai fidarsi delle risposte semplici. La Natura non è semplice. Spesso si dice che fra due teorie equivalenti sia da preferire quella più semplice, certo, ma solo per pigrizia, non per altro. La Natura è contorta, facit saltus e fa molte più pentole che coperchi. Il rasoio di Occam poteva andare bene nel XIV secolo, quando non si conoscevano i buchi neri o il principio di indeterminazione, oggi è molto meglio il nastro di Möbius.
Perché questa gente tossisce? Al cinema non tossisce, ho controllato. Al cinema tossiscono solo quelli che hanno la tosse, come si capisce dal fatto che sono colpi di tosse sinceri. Invece la tosse della gente a teatro ha qualcosa di studiato, non è “cof... eh-ehm...” o “ehm... ahm... cof” o “cof... co-cof”, ma è “COF! COF! COF!”, con i singoli “COF!” ben scanditi e separati l’uno dall’altro, come se fossero parole. Ci sono addirittura quelli che tossiscono così “TOSSE! TOSSE! TOSSE!”. Perché lo fanno? Forse si annoiano, ho pensato. Forse è come quando si aspetta il proprio turno dal dentista, che si inizia a giocherellare con la prima cosa a portata di mano: le chiavi, il cellulare, un giornale. Loro giocherellano con le tonsille. Certo è un’ipotesi plausibile, ma non abbastanza contorta per essere vera.
Un’ipotesi che mi sembra nettamente più verosimile è che questa gente tossisca per mettersi in mostra. Il motivo per cui al cinema non tossisce è che ha dei personaggi con cui immedesimarsi e quindi, anche se indirettamente, può sentirsi protagonista, invece a un concerto si sente messa da parte. Al cinema sono io che faccio a cazzotti con l’agente Smith, io che lancio l’anello nel Monte Fato, io che dico tutte quelle cose argute sugli intellettuali newyorkesi, mentre a teatro è lui che suona, lui che ondeggia in estasi, lui che si prende tutti gli applausi. Con la musica è difficile trovare interstizi dove infilare il proprio ego, e se uno vuole veramente apprezzare un brano musicale c’è solo una cosa che può fare: ascoltare, cioè la cosa più difficile del mondo.
La maggior parte della gente va a teatro non per ascoltare la musica, ma per assistere a una performance. Questa gente vede solo delle persone in abito da sera che si dimenano sul palco ammirate da tutti, mentre io, nientepopodimeno che io, sono qui al buio, ignorato e mischiato a tutti gli altri come un semplice spettatore, e sta a vedere che non posso neanche tossire.
Per questo a teatro c’è tutto uno sfoggio di pratiche esibizionistiche come non se ne vedono in nessun altro posto al mondo privo di telecamere. Ci sono quelli che tossiscono, quelli che scartano caramelle dentro altre caramelle che contengono tante piccole caramelle di carta, quelli che sfogliano l’opera omnia di tutti i programmi teatrali d’Italia, quelli che suonano lo schienale della poltrona antistante, quelli che dirigono gli esecutori col naso, quelli che esclamano, quelli che piangono, quelli che cigolano e, ovviamente, quelli che telefonano. Quelli che telefonano non mancano mai. E alla fine tutti gridano “bravo!”, non “bello!”.

TRAINING AUTOGENO


Miglior corto di animazione ai Nastri d'Argento 2012.

Realizzato in collaborazione con i Licaoni.
Voci di Alessia Cespuglio, Alessandra Falca, Laura Regali, Alex Lucchesi e Guglielmo Favilla.
Musica di coda dello Zio Giorgio.
Versione HD qui.
Altre informazioni qui.

PROSSIMAMENTE!

Sta arrivando il film dell’anno! Training autogeno! (il punto esclamativo non fa parte del titolo).
La travolgente storia d’amore di Carla


e Sandro


(ma anche di Sandra e Carlo), cioè di una ragazza appassionata di abiti da sposa e esseri umani in scala 1:4, e di un ragazzo con l’eiaculazione più precoce del mondo! Due ragazzi come tanti che si conoscono, non si piacciono e si sposano!
Riuscirà Carla/Sandra a trascinare Sandro/Carlo in quel ristorante biologico dove fanno il tofu alla griglia e i gamberetti di soia? Ce la farà a fargli capire che il tetrapak va nella carta e non nella plastica? (o viceversa). E Sandro/Carlo riuscirà finalmente a non stordirsi di birra prima che Carla/Sandra finisca di cucinare? Cosa lo spinge a tenere i calzini anche quando fanno l’amore? E perché Paolo assume quell’aria strafottente ogni volta che si parla di Formula Uno? Ma soprattutto chi è Paolo?
Training autogeno! Un film di animazione in tutti i sensi! Perché anima! Perché si anima! Perché ha l’anima! Perché è animato! E naturalmente perché...


no, basta.
Training autogeno! Il film che dopo averlo visto stappi lo spumante! (nel senso buono).
Avventura!


Thriller!


Amore!


Impegno sociale!


Tutto questo e molto altro ancora in un film che ha fatto impazzire il pubblico di tutto il mondo! E lo devono ancora vedere!
Un cartone animato interamente realizzato col solo uso di una tavoletta grafica, un computer e alcuni software di disegno, animazione, montaggio e postproduzione! Proprio come si faceva una volta!
Realizzato da Comafilm (cioè io), in collaborazione con i Licaoni (cioè loro), interpretato da Nicole Kidman, Susan Sarandon, Scarlett Johansson, Robert De Niro e Bill Murray (doppiati rispettivamente da: Alessia Cespuglio, Alessandra Falca, Laura Regali, Alex Lucchesi e Guglielmo Favilla), musiche di coda di Richard Wagner (ricomposte e eseguite dallo Zio Giorgio)! Anzi: !!!
Training autogeno! Dura solo sette minuti, ma proiettato su una stella di neutroni può arrivare fino a un’ora e mezza!
Training autogeno! Training! A! U! To! Ge! No!
Lunedì prossimo! Nei migliori Youtube del mondo!


Che fai ancora lì? Corri a lunedì prossimo!

L'ASSEDIO

TEOREMA

ENUNCIATO
Chi ama gli animali li ammazza e se li mangia.

DIMOSTRAZIONE
Partiamo dal fatto autoevidente che

1) il male e il bene assoluti non esistono.

Chi dice il contrario è pregato di dirmi dove sono, dieci secondi di tempo: in Antartide? su Plutone? Nel cuore di Gesù? Tempo scaduto. Il male e il bene assoluti non esistono.
Invece

2) esistono il male per qualcuno e il bene per qualcuno.

Ha senso solo parlare di “male per” e “bene per”, mai di “male e basta” e “bene e basta”. Per esempio la morte del cane di Mario è un male per Mario, ma un bene per Luigi che ogni mattina si trovava sullo zerbino alcuni odorosi resti del cane di Mario. E per il cane di Mario? Per il cane di Mario la sua morte non è né un bene né un male, visto che

3) per stare bene o male bisogna come minimo essere vivi.

Quindi

4) la morte di qualcuno non è un male per quel qualcuno.

Invece prendere a calci il cane di Mario è un male per il cane di Mario (ma un grande piacere per Luigi), visto che per sentire il dolore non serve essere intellettualmente superiori ma è sufficiente avere un corpo, e i cani, i gatti e le giraffe hanno tutti un corpo esattamente come gli esseri umani.
Le proposizioni 1, 2, 3 e 4 possono quindi essere generalizzate come segue:

5) fare male a X è male per X, mentre uccidere X non è male per X ma è male per i parenti di X, dove X è un qualsiasi essere vivente non masochista dotato della capacità di sentire male e con un conto in banca inferiore ai centomila euro.

Gli animali hanno solitamente conti in banca irrisori, ma poiché i loro parenti sono persone abbastanza insensibili, si può senz’altro affermare che

6) fare male a un animale è male per l’animale, ucciderlo non è male per nessuno.

Introduciamo ora, per mere esigenze di brevità, le seguenti definizioni:

7) non è male = non è male per nessuno,

8) è male = è male per almeno uno,

dunque la 6) si semplifica in

6.2) fare male a un animale è male, ucciderlo no.

Questa proposizione diventa naturalmente falsa per un animale domestico, essendo in questo caso l’animale dotato di un padrone in grado di piangerne la morte, ma torna a essere vera se si uccide sia l’animale che il padrone (e tutti i suoi parenti).
Per polli, maiali, conigli e tutti gli altri animali da tavola la 6.2 è sempre vera, e da essa segue che

9) allevare industrialmente un animale è male, tirargli una genuina schioppettata nella schiena no.

Ovviamente la schioppettata non è indispensabile, va bene anche una martellata in testa, l’importante è che l’animale, in tutto il periodo che trascorre su questo pianeta, possa vivere pienamente e serenamente la propria vita di animale, cioè ingozzarsi fino a scoppiare, rotolarsi nel fango e ascoltare Radio Deejay. Dalla 9 segue quindi che

10) non c’è nessuna controindicazione etica nell’uccidere animali che siano:
a) selvatici,
b) allevati all’aperto e in condizioni gradevoli,
c) appositamente creati senza cervello e fatti crescere in laboratorio.

Il paradiso terrestre è un mondo dove si allevano i filetti senza bisogno di allevare anche il resto della mucca. Mi sembra quasi di vederli: grossi lumaconi sanguinolenti coltivati come se fossero barbabietole, alberi da würstel, piantagioni di costolette. Mi fermo perché ho l’acquolina.
Fatta sempre per esigenze di brevità la seguente definizione:

11) è bene = è bene per almeno uno e non è male per nessuno,

si può affermare che

12) mangiare un animale che appartenga alle categorie 10.a), 10.b) e 10.c) è bene, soprattutto se cucinato come si deve.

È bene per tutti coloro che non mangiano per nutrirsi ma per essere felici, cioè per chi considera il cibo non una dose di sostanze nutritive da assumere per mantenersi in vita, ma un’occasione per festeggiare la vita e socializzare con gli altri, mangianti e mangiati. E siccome

13) quando si festeggia è bello festeggiare con chi si ama,

14) chi ama gli animali li ammazza e se li mangia.

C.v.d.

COROLLARIO
Amare veramente una persona significa spararle nella nuca mentre dorme e mangiarla finché è calda.

JACK LO SQUARTATORE NATURA

Come qualcuno avrà sicuramente notato, l’universo non è abitabile. Di solito si dice che Madre Natura ha preparato tutto a puntino per accogliere la vita umana, il suo fenomeno fisico preferito, ma purtroppo non è così. L’universo è un posto pericoloso, pieno di radiazioni cancerogene e bombardamenti meteorici. In confronto l’inferno di Dante è Disneyland. Basta dare un’occhiata in giro per rendersi conto che il fenomeno fisico preferito dalla Natura non è la vita umana, ma il vuoto spinto. L’universo è quasi tutto vuoto e quel poco che c’è è ospitale come uno tsunami. Un posto come la Terra non è la regola, ma l’eccezione. La regola è Plutone (duecento gradi sotto zero e niente atmosfera) o Venere (l’atmosfera di una camera a gas e cinquecento gradi all’ombra), non la Terra. La Natura, più che una madre premurosa, sembra un assassino. Invece di chiamarla “Madre Natura”, sarebbe più corretto chiamarla “Jack lo squartatore Natura”.
Il genere umano è come una muffa attaccata a un sassolino umido e tiepido sparato nel vuoto cosmico, basta uno spiffero e tanti saluti. Se l’umanità ci tiene tanto a continuare a proliferare sul suo sassolino, allora deve stare attenta agli spifferi. Certo se un’estate è più calda della media non c’è da preoccuparsi, la media è fatta così. Sarebbe molto più strano se tutte le estati avessero sempre esattamente la stessa temperatura. Invece la situazione si fa un po’ più interessante se la temperatura media del pianeta aumenta di 0,7 gradi in cent’anni, come è successo nel XX secolo (qui il report dell'IPCC).
C’è un grande dibattito su quale sia la causa di questo aumento: da una parte ci sono i climatologi che dicono che è colpa degli esseri umani, dall’altra ci sono gli esseri umani che dicono che è colpa dei climatologi che la sparano grossa. Purtroppo io non ho i mezzi per fare carotaggi in Antartide e non ho idea di come si faccia una simulazione numerica per studiare l’evoluzione del clima, per cui, in mancanza di meglio, mi tocca fidarmi dei climatologi. Magari si sbagliano, succede spesso agli scienziati di sbagliarsi: dicevano che il calore è una sostanza materiale e non è vero, dicevano che la luce si propaga nell’etere e non è vero, dicevano che la Via Lattea è tutto l’universo e non è vero, quindi è possibile che si sbaglino anche stavolta, ma finché non arrivano Lavoisier, Einstein e Hubble con una teoria migliore, cosa dovrei fare? Fidarmi del macellaio? Se si tratta di bistecche chiedo al macellaio, se si tratta di clima chiedo a un climatologo e al momento la maggior parte dei climatologi dice che questo aumento di temperatura è anomalo, pericoloso e causato dalle attività umane (Naomi Oreskes, 2004). Quindi?
Quindi ecco il mio piano, una cosa semplice e a costo zero che risolve il problema alla radice: ridurre la popolazione mondiale. Niente di cruento, ci mancherebbe, basta solo impedire alla gente di fare figli finché non si torna sotto il miliardo, oppure finché non si trova un pianeta nuovo su cui traslocare. Che senso ha continuare a riprodursi in questo modo? È per dare a tutti la possibilità di vivere? Tutti chi? Se non fai nascere nessuno non è che stai negando qualcosa a qualcuno, perché prima della nascita non c’è nessuno a cui si possa negare alcunché. O è forse per migliorare il mondo? Più figli si fanno più probabilità ci sono di mettere al mondo dei geni? Vediamo, nel 1600 non c’erano neanche mezzo miliardo di persone, eppure fra queste c’erano Caravaggio, Rubens, Monteverdi, Bacone, Galileo, Keplero, Cervantes e Shakespeare, tutti vivi in quello stesso anno. Ora siamo quattordici volte tanto, dove sono i quattordici Caravaggio, i quattordici Galileo e i quattordici Shakespeare?
Fare figli può avere senso solo per chi li fa, ma per l’umanità nel suo insieme è solo un fenomeno da razionalizzare, come si fa con le licenze di pesca. La Terra è come un autobus: più si è, peggio si sta.
Un’altra cosa che si dice spesso è che gli esseri umani con il loro comportamento stiano distruggendo la Natura. È chiaramente falso, casomai le stanno dando una mano.

BERLUSCONI È UNA PASSIONE INUTILE

A chi dovesse leggere questo post nel XXII secolo ricordo che la parola Berlusconi non significa due enormi berluschi, ma è il cognome di un tizio che ha governato l’Italia per parecchi anni e che ai suoi tempi è stato molto famoso, ma veramente molto, forse addirittura più famoso di uno che adesso non ricordo. Quello che ora da voi significa “berlusco” non ha probabilmente nessuna attinenza col suddetto tizio, a meno che non significhi “metà di un Berlusconi piccolo”.
Cos’abbia fatto o non abbia fatto Berlusconi nella sua vita è irrilevante, diciamo che si è dedicato molto all’autocelebrazione, come nel loro piccolo fanno tutti quanti. Come tutti ha passato la vita ad assecondarsi, senza accorgersi che più ti assecondi più hai bisogno di assecondarti e più hai bisogno di assecondarti più sprechi tempo ed energie nell’assecondarti. In pratica è uno qualsiasi che è riuscito a diventare molto più qualsiasi di tutti gli altri.
Su Berlusconi è stato detto praticamente tutto e, purtroppo per lui, le poche cose non dette sono quelle senza insulti, ma quello che forse ancora nessuno ha detto è che Berlusconi è spaventosamente infelice. È una cosa evidente, uno felice non scatta in quel modo alla minima critica, non cerca a tutti i costi l’approvazione degli altri e, soprattutto, non sorride come uno che si è fatto tutta l’A1 con la faccia fuori dal finestrino.
Ha tanta gente che lo ossequia, è vero, che gli si srotola ai piedi, che gli offre la moglie e le figliolette in segno di rispetto, nude e già lubrificate, ma è tutta immondizia umana, gente che se gli metti quattro vibrisse nel naso e una coda nel culo non la distingui dai comuni topi di fogna. Berlusconi lo sa, è abbastanza intelligente da rendersene conto: la stima di chi lo stima non vale niente, mentre quelli che scrivono libri, fanno film, dirigono orchestre e vanno sulla Luna lo disprezzano.
Chi sono quelli che parlano bene di Berlusconi? Maurizio Belpietro, detto “l’anello mancante”, Mario Giordano, l’unico OGM al mondo di cui è dimostrata la tossicità, Alfonso Signorini, uno così rispettato che la gente, quando gli dà la mano, poi corre immediatamente ad amputarsela.


Senti, Silvio, pensavo di fotografare la Barbara e l’Eleonora in atteggiamenti saffici.

Pensi che sia il caso?

Ma certo, senti che idea: nude nelle scuderie di Arcore a rotolarsi nella cacca di cavallo.

Fai quello che ti pare, basta che non le tocchi.


Se il tuo scopo è essere menzionato nei libri di storia vicino a Marco Aurelio e Lorenzo il Magnifico, questa non è la gente giusta, con estimatori di questo tipo puoi al massimo ambire alla tradizione orale, nel senso delle barzellette. Certo fa piacere vedere la folla che impazzisce per te, le donne che svengono, gli uomini che strepitano, la gente che calpesta i propri figli pur di farsi fare una foto con te, ma poi giri l’angolo e vedi che fanno la stessa cosa con Gerry Scotti.
Non c’è da stupirsi. Se per avere l’ammirazione della gente usi le barzellette sconce avrai l’ammirazione della gente che va pazza per le barzellette sconce, cioè gente di cui non t’importa assolutamente niente. In pratica è un Berlusconi che si morde la coda.
Chi non ha raggiunto le vette di autostima e solitudine di Berlusconi non può capire quanto ci si senta infelici. Non è l’infelicità delle rate del mutuo, della dissenteria, dello stress da lavoro, in confronto queste sono stupidaggini, è l’infelicità definitiva e senza rimedio di chi ha assecondato fino in fondo il proprio desiderio di essere dio e a settant’anni suonati capisce di essere solo un Berlusconi.

ALTRE COSE DA SAPERE SUBITO

Scusa neonato, so che hai già alle calcagna mucchi di parenti, preti e educatori, tutti smaniosi di lasciare un’impronta indelebile nel tuo povero cervellino indifeso, ma avrei ancora un paio di cose da dirti. Tanto, dopo che ti avranno calpestato la testa in cinquantamila, cosa vuoi che sia un’impronta in più o in meno?

n) Tanto per cominciare, non dare retta a tua madre. Tu non sei immortale, non sei speciale e soprattutto non sei il migliore. In niente.

o) Una delle più grosse delusioni che avrai nella vita sarà quando scoprirai che la gente è bugiarda, amici compresi. Anzi, soprattutto gli amici. Non lo fanno per cattiveria, è solo che le bugie sono molto meno faticose della verità.
Io ho scoperto un metodo infallibile per identificare le bugie: quando fai una domanda a una persona, basta che misuri il tempo (∆t) che questa impiega a rispondere, se la risposta arriva dopo un silenzio superiore alla somma dei vostri tempi di reazione e del tempo che impiega il suono a coprire la distanza (∆s) fra la tua testa e la sua, andata e ritorno, allora la risposta è falsa. Cioè una risposta è sincera se e solo se

∆t ≤ ∆tsuo + ∆ttuo + 2∆s/vs

dove ∆tsuo è il suo tempo di reazione nel rispondere, ∆ttuo il tuo nel fermare il cronometro e vs la velocità del suono.
Ora, il tempo di reazione medio di un essere umano dipende dal sesso e dall’età secondo il seguente grafico (G. Derr & I. J. Deary, 2006)


quindi, se per esempio l’interlocutore è una donna di vent’anni (∆tsuo≈0,29 s) posta a quattro metri di distanza, e tu un neonato di circa trent’anni (∆ttuo≈0,28 s), sapendo che vs≈350 m/s, si ha che ogni risposta con un tempo superiore a 0,59 secondi è sicuramente falsa. Il tempo in eccesso è il tempo che l’interlocutore impiega per prendere la decisione di mentire, tempo che nelle persone molto allenate può facilmente essere inferiore al decimo di secondo.

p) Comprati un buon cronometro.

q) Per smascherare gli ipocriti devi invece fare caso alla faccia. Non ascoltare le parole, spesso le parole distraggono da quello che la faccia dice. Guarda solo la faccia e se vedi espressioni esagerate allora quella è la faccia di un ipocrita. Il motivo è che chi non prova sinceramente un’emozione ma vuole darti a intendere che la sta provando, cercherà di darsi un surplus di emozione, ma non avendo a disposizione uno specchio per dosarla, quest’emozione artificialmente erogata finirà col deformargli la faccia, come succede agli attori mediocri.
Le persone di cui fidarsi hanno questa faccia


non questa


r) Sapere tutto è tipico delle persone che non sanno niente.

s) Sospetta sempre di chi usa la parola “dignità” (dignità della vita, dignità del lavoro, dignità del farsi prendere a sberle), di solito è gente che vuole fregarti.

t) La cosa che piace del bel tenebroso è il “bel”, non il “tenebroso”. Se non rientri nella categoria “bel”, evita.

u) Alle scritte sulle magliette non è necessario rispondere.

v) L’unica cura naturale è lasciar perdere.

z) Come avrai presto modo di notare, molte persone sono come i terremoti: arrivano all’improvviso, fanno un sacco di rumore e pretendono di scombinarti la vita come pare a loro. Opporre resistenza è inutile. L’unica cosa da fare è accucciarsi sotto il tavolo e aspettare che passino.

(j e k)

COSE DA SAPERE SUBITO

Ci sono cose che avrei voluto sapere subito invece di impiegare anni a impararle da solo. Appena uno nasce bisognerebbe dargli l’elenco delle cose da sapere e dirgli: “toh, da qui in poi fai tu”. Per questo ho deciso di divulgare le ovvietà che ho imparato a mie spese e con grande fatica, sottraendo tempo prezioso alla ricerca di nuove tecniche di rotolamento sul divano. Mi rivolgo soprattutto ai neonati. Ascoltatemi bene, bambini, dovete assolutamente sapere che:

a) Quando una donna dice “tu mi lusinghi”, dice “no”. Non bisogna insistere. Insistere si chiama “violenza sessuale” e la violenza sessuale è reato, salvo decreti dell’ultim’ora.

b) Quando un uomo dice “no”, non dice niente. Basta riuscire a prenderglielo in mano ed è fatta. La violenza sessuale delle donne sugli uomini non esiste.

c) Chi ti deride per scherzo è uno che vorrebbe deriderti sul serio ma non ne ha il coraggio. Il contesto scherzoso gli serve solo per deriderti senza correre rischi. Questa informazione è particolarmente utile non tanto per sapere quando è il caso di offendersi (offendersi è stupido), ma per conoscere meglio chi si ha davanti.

d) Offendersi è stupido.

e) Una persona che ti accusa senza fondamento di qualcosa è una persona che abitualmente fa quel qualcosa. Per esempio, uno che insinua che dici bugie è uno che dice bugie, uno che sospetta che tu lo voglia fregare è uno che abitualmente cerca di fregarti, e così via. Questa cosa e quella detta al punto c) sono molto utili per capire alla svelta le persone e fanno risparmiare un sacco di scocciature, delusioni e soldi. È come se le persone diventassero trasparenti e si riuscisse a vedere quello che hanno dentro: milza, polmoni, pancreas e due o tre etti di cacca.

f) Appena imparerai a parlare ti verrà subito voglia di buttarti in qualche disputa verbale pensando che sia divertente o addirittura utile. Te lo sconsiglio, ma se proprio ci tieni ricorda sempre questo: la stragrande maggioranza della gente non argomenta, ma la spara e poi fa il tifo per se stessa.


Che film di merda.

A me è piaciuto.

Si vede che ti piacciono i film di merda.

Ma, scusa, e le scene d’azione? È difficile trovare scene d’azione così --

Di merda.

Però gli attori erano bravi.

Merde.


Discussioni di questo tipo possono essere utili solo per sfogare la propria aggressività, ma in tal caso bisogna saperle affrontare con la giusta dose di sarcasmo, disprezzo e urla belluine.

g) Una cosa su cui ti arrovellerai spessissimo, caro mio piccolo feto appena espulso, è sapere se un amico è veramente un amico. Io ho elaborato un test infallibile e ora te lo dirò gratis. Perché sono buono? No.
Fase 1: racconta al candidato amico un tuo successo personale, non importa che sia grande o piccolo, basta che ti mostri soddisfatto di te stesso. Se il candidato non dà il minimo segno di gioia, non fa nessuna domanda e lascia cadere il discorso come se niente fosse, vuol dire che: o non è tuo amico o è solo molto preso da sé.
Fase 2: racconta al candidato una cosa che ti è andata male e che ti ha deluso. Se quello inizia a fare domande a raffica, vuole sapere tutti i dettagli e pretende che gliela racconti più e più volte come fanno i bambini con le loro favole preferite, vuol dire che non è molto preso da sé.

h) Se ti sminuisci ti prendono subito in parola.

i) Le critiche non sono attacchi. Questo segnatelo sulla retina.

l) La maggioranza ha sempre torto, e le poche volte che ha ragione è per il motivo sbagliato.

m) Le persone che ti danno dei consigli vogliono solo renderti simile a loro. Prima di seguirli verifica che ne valga veramente la pena.

(n-z)

AUTONIENTE

Inauguro un nuovo genere letterario: l’autobiografia di chi ha tanta auto, ma poca biografia.

GIANDOMENICA PAPPALAZZI
Scrittrice, artista, pedone e molto altro, è nata a Budrio nell’anno 1 d.G.P., dove si è laureata con una tesi su se stessa dal titolo “110 e lode”. Dopo gli studi ha insegnato italiano al gatto e ha svolto con profitto l’attività di imitatrice di scrittori famosi. Si è occupata anche di legalità e galateo, ed è una dei più attivi membri dell’associazione “Giandomenica Pappalazzi for president”, fondata da sua madre e dall’imitazione di Umberto Eco. Scrive romanzi, racconti, poesie e molte altre combinazioni di parole. I suoi testi, dopo un’attenta e accurata selezione, hanno avuto l’onore di essere pubblicati integralmente sul prestigioso sito www.giandomenicapappalazzi.org. Nel tempo libero si dedica a varie attività corporee senza scopo di lucro, quali: alzarsi dal letto, camminare in tondo, rotolarsi sul tappeto.
Vincerà il Nobel.

PROSERPINA BURCHIONE
Nata a Trogolo Sbudella, città d’arte, ha frequentato un master quinquennale presso le scuole elementari di Chiappano. Qui, sotto la guida del maestro Carlo, si è subito distinta per l’ortografia e la sorprendente pulizia delle unghie. Grande esperta di Molise, una delle regioni d’Italia meno esplorate, è dotata di occhiali molto costosi e di uno spiccato senso dell’orientamento. Segue principalmente due ambiti espressivi: la letteratura gestuale e la musica del corpo, ed è proprio in quest’ultima disciplina che ha raggiunto i maggiori risultati: sulle orme dell’enciclopedismo bachiano ha sistematicamente esplorato tutte le possibili sonorità ottenibili da combinazioni di legumi, latticini e antibiotici, ottenendo svariati riconoscimenti anche da parte di persone diverse da se stessa. Ha inoltre tenuto numerose conferenze telepatiche dal loggione del Teatro Regio di Parma.

GIUSEPPE SPIPPOLI
Ha frequentato il Liceo Scientifico “Michelangelo”, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, dove ha fatto scalpore con il suo rifiuto di conseguire la maturità per protesta contro la sua non ammissione alla maturità. Personalità eclettica e poco incline al conformismo, ha collaborato per diversi anni con il Mart di Rovereto, per il quale ha realizzato memorabili performance artistiche come la pulizia dei vetri, il passaggio dello straccio e la rincorsa del topo. Una delle sue opere più controverse e provocatorie gli è costata l’estromissione dal museo: la pennichella nel ripostiglio. Attualmente la sua attività artistica si divide fra la pittura delle unghie della madre, la realizzazione di sculture in mollica molto apprezzate dai commensali e la progettazione di numerosi castelli in aria.

MARIO SMANAZZONI
Si forma come mangiatore di cozze presso il ristorante “Nuova Lipari” di Montefiascone, ma è nel campo dell’audiovisivo che riesce a esprimere appieno la sua creatività. Ha studiato Teoria del Cinema presso le più importanti tv italiane (Rai 1, Rai 2 e così via), apprendendo rapidamente l’arte del montaggio col telecomando. Ha scritto, diretto e interpretato vari film per il popolare network Youtube. Così scrivono di lui:

polly9000: uhauahuahauha

glaubritius: noooo mii!!!!1!!!11 grande

fede98: <3

Nel 2008 ha partecipato alla Mostra del Cinema di Venezia in qualità di spettatore, e ha avuto l’onore di conoscere personalmente uno dei più grandi attori della storia del cinema: Lando Buzzanca, il quale, su un foglietto strettamente riservato, gli ha confidato: Lando Buzzanca.
Possiede una bicicletta da corsa.

FABIO GENIALE
Nome d’arte di Fabio Flipper. È sposato con una donna laureata in filosofia, gode di buona salute e ha un cane di nome Mendeleev. Scienziato e artista allo stesso tempo, ha compiuto numerose ricerche in ambito riproduttivo e ha realizzato opere in acqua e carbonio di pregevolissima fattura: Giuseppe Flipper, Laura Flipper e Elisabetta Flipper, quest’ultima dotata di piedi con sei dita. Sperimentale. Alcuni suoi spermatozoi sono usciti sulle più importanti riviste di moda e biancheria intima lasciando un segno indelebile.
Ha inventato il sesso nasale.

LORIS BUSATTO
Loris Busatto.

ESEGESI

INVIDIA: LA TEORIA DEFINITIVA

SOMMARIO
Stabilito che la parola “invidia” ha senso solo se usata per riferirsi al comportamento e non alle convinzioni dell’invidioso, ho qui descritto tutte le manifestazioni dell’invidia per mezzo della Matrice della Simpatia, nell’approssimazione che le persone siano in buona fede. Questo mi ha permesso di riconoscere come causa fondamentale dell’invidia un preciso stato d’animo che ho chiamato Superba Insicurezza. Quindi ho elaborato un modello per calcolare l’intensità dell’invidia in base a tre grandezze: la superbia dell’invidioso, l’insicurezza dell’invidioso e la distanza dell’invidiato. Ho chiamato questo modello Legge dell’Invidia Universale.

1. CHE COS’È L’INVIDIA?
Invidioso è chi si comporta da invidioso. Non importa che motivazioni abbia e come giustifichi il suo comportamento: se uno si comporta da invidioso è invidioso, così come è pazzo chi va in giro senza mutande a leccare le rotelle dei cassonetti, sia che lo faccia perché convinto di essere un barboncino sia che lo faccia per semplice provocazione. Ciò che definisce una persona è il suo comportamento, non le sue motivazioni, e il comportamento dell’invidioso consiste nel:
1) Parlare sempre volentieri dei propri successi.
2) Ascoltare malvolentieri i successi altrui.
3) Non parlare mai dei propri insuccessi (non esistono).
4) Ascoltare molto volentieri gli insuccessi altrui facendo tante domande e fregandosi continuamente le mani.
5) Accanirsi nel criticare gli altri con rabbia e gioia allo stesso tempo (come un cane che si gratta).
6) Non sopportare le critiche.
7) Cedere facilmente alle lusinghe.
8) Ostentare indifferenza verso i successi altrui, che non è la stessa cosa che essere indifferenti ai successi altrui. Questa è l’indifferenza:


Mario si è preso la Porsche.

Oddio, spero sia curabile.

È una macchina.

Ah, okay.


Questa invece è l’ostentazione dell’indifferenza:


Mario si è preso la Porsche.

Perché lo dici come se me ne dovesse fregare qualcosa?


In sintesi gli invidiosi sono quelle persone che quando hanno a che fare con ciò che ritengono, a torto o a ragione, un successo o un insuccesso proprio o altrui reagiscono secondo la seguente tabella, detta Matrice della Simpatia (Si,j)


Chiedersi perché una persona si comporti secondo la Matrice della Simpatia può essere importante per capire cosa la induca a essere invidiosa, ma non per stabilire se è invidiosa o no, perché l’invidioso è proprio chi si comporta secondo la Matrice della Simpatia.

2. PERCHÉ UNA PERSONA SI COMPORTA SECONDO LA MATRICE DELLA SIMPATIA?
Di sicuro non perché lo ha deciso, altrimenti ogni invidioso sarebbe consapevole di essere invidioso e potrebbe sforzarsi di non darlo a vedere, invece gli invidiosi sono sempre così plateali che fanno quasi tenerezza (quasi). Quando l’invidioso dice che la Porsche di Mario fa schifo perché è un modello vecchio, il bianco si sporca subito e dietro si sta stretti, è sincero, non sta mentendo per nascondere il fatto che in realtà venderebbe tutte le madri a sua disposizione pur di avere un tergicristallo della macchina di Mario, quella macchina gli fa veramente schifo e i difetti che dice sono reali, almeno per lui, cioè sono tali da trasformare un potenziale successo altrui in un effettivo insuccesso, ma ciò non toglie che sia invidioso, e la dimostrazione è che nell’elencare quei difetti prova un grande piacere:

S2,2 = >:)

Se poi arriva Luigi e fa presente che Mario si è appena schiantato a duecento all’ora contro un panzer dei carabinieri, l’invidioso si lascerà scappare un gridolino di piacere e il suo interesse per la carcassa della Porsche di Mario aumenterà improvvisamente:

S4,2 = :D

Dopodiché inizierà a dire che con la sua 500 Abarth una cosa del genere non sarebbe mai successa

S1,1 = :)

E così via.
L’invidioso si comporta come si comporta non per un subdolo stratagemma, ma per la sua convinzione di essere il migliore unita alla paura di non esserlo. Solo la nefasta unione di questi due sentimenti opposti (superbia e insicurezza) permette di capire perché l’invidioso si comporti in un modo così straordinariamente simpatico. Per rendersene conto basta prendere uno per uno gli elementi Si,j e vedere come tutti si spieghino facilmente in termini di una Superba Insicurezza. Per esempio S1,2:
- X si sente superiore a Y.
- Y ottiene un successo personale.
- X ritiene di avere ottenuto successi molto più importanti, ma ha paura che Y possa montarsi la testa e magari addirittura pensare di non essere inferiore a X (le persone insicure sono sempre molto preoccupate dell’opinione altrui).
- X deve far capire a Y nel modo più chiaro possibile che a lui quel successo non interessa.
- :|

3. PERCHÉ L’INVIDIA È INCONSAPEVOLE?
Le persone che dicono apertamente di essere invidiose in realtà non lo sono, stanno solo facendo un complimento al supposto invidiato. Un invidioso non direbbe mai di essere invidioso, e non perché non voglia ammetterlo, ma perché non sa di esserlo. Questa inconsapevolezza è dovuta al fatto che la Superba Insicurezza è uno stato d’animo, non un ragionamento, e come tutti gli stati d’animo non è mai una scelta ma una cosa che capita, e soprattutto è selettiva: quando un invidioso giudica un’altra persona lo fa sinceramente, ma sempre con la speranza di trovare dei difetti e la paura di trovare dei pregi (cioè il contrario di quando giudica se stesso), quindi è inevitabile che nel giudicare gli altri troverà sempre molti più difetti che pregi, per il semplice fatto che è molto più facile trovare quello che ci rende felici che quello che ci rende tristi. In sintesi l’invidioso non si sente invidioso per due motivi: primo, non ha mai deciso di esserlo, secondo, non desidera ciò che invidia, ma sinceramente lo disprezza o lo ignora.

4. LEGGE DELL’INVIDIA UNIVERSALE
La forza (F) con cui l’invidioso invidia una persona a distanza r può essere espressa dalla legge


Ciò significa non solo che una persona è tanto più invidiosa quanto più è superba e insicura, ma anche che l’invidia può essere forte tanto in una persona molto superba e poco insicura quanto in una persona poco superba e molto insicura, solo che saranno due tipi di invidia diversi: nel primo caso (superbia>insicurezza) spiccherà l’indifferenza, nel secondo (superbia<insicurezza) spiccherà il disprezzo.
Il fatto che F dipenda dall’inverso del quadrato di r significa che l’invidia, a parità di superbia e insicurezza, è tanto più forte quanto più la persona invidiata è vicina (amici, colleghi di lavoro, vicini di casa, eccetera) e tende rapidamente a zero man mano che il potenziale invidiato è meno presente nella vita dell’invidioso, cioè meno minaccioso per la sua autostima.


L’invidia si rivolge verso le persone che si vedono tutti i giorni in ascensore o con cui ci si accapiglia alla macchinetta del caffè, non verso i Presidenti del Consiglio. Un Presidente del Consiglio può essere invidiato solo da chi ambisce alla Presidenza del Consiglio, non dalle persone che lo insultano per strada. Queste, può star tranquillo, lo disprezzano genuinamente.
Si noti incidentalmente che per r = 0 si ha l’apparente paradosso di una persona che prova un’invidia infinita per se stessa. In realtà non si tratta di un paradosso, ma della migliore definizione esistente di egolatria (a parte ovviamente quella del dizionario).
Infine osserviamo che, sempre in base alla Legge dell’Invidia Universale, esistono tre tipi di persone che non provano invidia per nessuno (F = 0):
1) Gli sbruffoni (superbia ≠ 0, insicurezza = 0).
2) I complessati (superbia = 0, insicurezza ≠ 0).
3) I saggi (superbia = 0, insicurezza = 0).

5. CONCLUSIONI
Questa teoria è importante non solo perché chiarisce finalmente come mai sia più facile essere apprezzati dagli sconosciuti che dagli amici, ma soprattutto perché, grazie alla Matrice della Simpatia, permette a chiunque di rendersi facilmente conto se sia invidioso oppure no. Per farlo basta porsi alcune semplici domande: sgocciolo di rabbia a ogni minima critica? Vado in letargo appena qualcuno viene elogiato in mia presenza? Godo nel parlar male degli insuccessi altrui? Eccetera. In questo modo ognuno potrà evitare spiacevoli figuracce a sé e inutili supplizi agli altri, contribuendo così attivamente a far diventare il mondo un posto dove tutti possano finalmente rendersi conto, serenamente e senza traumi, di non essere niente di speciale.

GABBIE E UCCELLI

UN TEMA PIÙ DIFFICILE

Federico II di Prussia aveva tutto per essere felice: un bel castello, una moglie obbediente e tanto tempo libero. La mattina si alzava quando voleva, pranzava e cenava come al ristorante, giocava a Risiko con gli esseri umani e tutti lo chiamavano “Federico il Grande”, anche se era alto solo uno e sessantadue. Ciò nonostante Federico II era sempre di cattivo umore. Nessuno capiva perché, nemmeno il suo psicanalista.


Perché siete di cattivo umore, Maestà?

Non sono di cattivo umore, imbecille.

Giusto, Maestà. Perché siete di buon umore?

E a te che ti frega?

Sono il vostro psicanalista.

Tu?

Per servirvi, Maestà.

No, tu sei il mio cavallo.

Sì, Maestà.

Nitrisci.

Iii-ih, Maestà.


Federico II era un uomo con tante qualità. Per esempio suonava il flauto molto bene e sapeva comporre sonate, concerti e un po’ tutti i generi musicali dell’epoca. Certo niente di eccezionale, ma era comunque musica piacevole e scritta con una certa intelligenza. Il suo maestro Johann Joachim Quantz, il più grande flautista del Settecento, gli faceva sempre moltissimi complimenti, tutti alla modica cifra di duemila talleri l’uno. Chiunque sarebbe stato soddisfatto di sé, chiunque tranne Federico II.


Buonanotte, amore.

Buonanotte, Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel-Bevern.

Non vieni a dormire?

Suono ancora mezz’ora e poi arrivo.

È un po’ tardi.

Non vorrai lamentarti della bolletta delle candele? Posso permettermela, okay?

Veramente non ho detto niente.

Ma l’hai pensato.

Perché sei sempre di cattivo umore, Federico?

Primo: io non sono di cattivo umore, secondo: sei licenziata.


Suonare era l’unica cosa che lo faceva stare veramente bene. Quando suonava si dimenticava di tutto: mogli, diplomatici, eserciti, tutto quanto. Ogni pensiero spariva e lui non era più Federico II di Prussia, ma un flauto. Era così riposante essere un flauto: le note uscivano da sole senza nessuno sforzo e non c’era niente a cui pensare, bisognava solo ascoltarsi. L’unico problema era che quando smetteva di suonare il cattivo umore era ancora lì, seduto in poltrona con le gambe incrociate.


Allora, Maestà, andiamo a dormire?

No.

Le mie dita non rispondono più ai comandi.

Certo, le tue dita rispondono ai miei comandi.

Sì, Maestà.

Suonami ancora questo pezzo e poi vai dove ti pare.

È una nuova sonata?

L’ho finita ieri. Mi raccomando i ritornelli.

Sì, Maestà.

Tutti da ripetere quindici volte, come piace a me.


Un altro dei tanti privilegi di Federico II era che al suo servizio non aveva un clavicembalista qualsiasi, ma un figlio di Bach in persona, e non Gottfried Heinrich, quello ritardato, ma Carl Philipp Emanuel, per gli amici Cipié. Gli aristocratici erano così, sperperavano i loro beni in arte e sapere, invece i governanti democraticamente eletti li sperperano in calcio e puttane.


Allora, Cipié, ti è piaciuta?

Le vostre sonate migliorano a vista d’orecchio, Maestà.

Hai notato il tema dell’allegro? È ricavato dalla mia iniziale? F F F F F, pausa, F F F.

Bellissima sonata, davvero. Non al livello di quelle di mio padre, ma molto bella.

Oh, scusa. Mi si è accidentalmente spaccato il flauto sulla tua testa.


Non importa quanti soldi hai, quante guerre hai vinto, quanta gente ti aduli, basta che uno abbia un capello in più di te e subito esplode l’invidia, ma silenziosamente, senza che l’invidioso se ne accorga. L’invidioso non è come il Salieri di Milos Forman che si rotola per terra urlando “dio mio, quanto sono invidioso!”, l’invidioso non sa di essere invidioso, sa solo di essere di cattivo umore. Questo perché l’invidia non è la conclusione di un ragionamento ma uno stato d'animo, e come tutti gli stati d'animo arriva senza chiedere il permesso e si installa davanti agli occhi come un paio di occhiali arancioni. Per l’invidioso non è lui a essere invidioso, è il mondo che è arancione. L’invidia non si manifesta come desiderio della cosa invidiata, ma come astio verso chi la possiede, un astio completamente irrazionale a cui l’invidioso cerca di dare motivazioni posticce: “si dà un sacco di arie”, “ha una risata fastidiosa”, “le sue fughe sono tutte scopiazzate da Händel”, eccetera. Se Bach fosse stato un Regno, Federico II gli avrebbe dichiarato guerra, ma come si poteva dichiarare guerra a un povero vecchio? I libri di storia avrebbero fatto molta fatica a descrivere con la necessaria enfasi l’impresa eroica di Federico il Grande che con soli mille uomini espugna l’appartamento del povero vecchio: la gloriosa Guerra dei Sette Secondi. I posteri non avrebbero capito. Quindi che fare?
Se Federico II avesse ascoltato con attenzione la musica di Bach e si fosse detto “Bach è meglio di me”, allora non sarebbe stato invidioso, magari sarebbe stato triste, frustrato, avvilito o al contrario stupito, incuriosito, stimolato, ma di sicuro non invidioso. Quello che gli rovinava la vita non era il desiderare un talento che non poteva avere, ma l’avere paura di desiderarlo, quindi finché poteva cercava di non ascoltare Bach, e quando proprio non poteva non ascoltarlo cercava di convincersi che non valeva un gran che. Tutto questo preventivamente, cioè senza essersi mai esplicitamente chiesto se veramente volesse essere Bach. In un certo senso l’invidioso invidia tutto, sia le cose che vuole sia quelle che non vuole, perché la sua invidia lo annebbia prima che possa farsene un’idea.
La sera del 7 maggio 1742, Johann Sebastian Bach viene invitato a esibirsi in pubblico nel palazzo d’estate di Federico II a Potsdam. Federico II lo accoglie nel modo più cortese possibile e subito ordina che gli vengano portate le pattine migliori, ma siccome Bach fa molte riverenze e continua a inginocchiarsi, gli fa portare un paio di pattine anche per le mani, in modo che possa entrare nella sala da musica camminando comodamente a quattro zampe. Nella sala ci sono tutti: musicisti, ufficiali, nobildonne e tutta un’indistinta tappezzeria di intellettuali a caccia di uno stipendio (questi non mancano mai). Il piano di Federico II era semplice: dare a Bach un tema, chiedergli di improvvisare una fuga e far vedere a tutti che non era capace, ah ah ah (“ah ah ah” faceva parte del piano). Per sicurezza il tema doveva essere opportunamente lungo, incoerente, irregolare e pieno di cromatismi.


Bach lo ascolta senza fare commenti e subito si siede al clavicembalo.


No, non lì.


Federico II gli indica un altro strumento, una cosa mai vista: una specie di cassa da morto a rotelle, coi pedali come un organo ma meno numerosi di quelli di un organo, e una strana tastiera coi tasti tutti invertiti, quelli bianchi neri e quelli neri bianchi. Cioè un pianoforte. Bach interpreta tutto come un segno di grande considerazione nei suoi confronti, dopotutto solo al musicista migliore si possono chiedere certe cose. Si siede al piano e senza neanche prendere fiato attacca la fuga.
Non solo quel vecchio mezzo cieco e con le dita a forma di würstel riesce a improvvisare una fuga coerente, ma quella fuga era anche, particolare non trascurabile, meravigliosa. Non era tutta un plin plin come la musica che si sentiva in giro, piacevole quanto si vuole ma pur sempre un plin plin, quella musica era un discorso, un bellissimo dialogo a tre voci con le note al posto delle parole.


Non male, ma una fuga a tre voci sono capaci tutti.

Vostra illustrissima Grazia, tre voci è il numero adatto per un tema come quello che vi siete magnanimamente degnato di sottopormi, tema peraltro eccellente.

Basta coi convenevoli, vecchio. Suonami una fuga a quattro voci.

Ne sarò onoratissimo, Vostra Imperitura Sovranità.

Volevo dire cinque.

Cinque voci?

Troppo difficile?

Farò del mio meglio, Vostra Impareggiabile Simpatia.

Sei.


Scrivere una fuga a sei voci è come fare venti metri al salto con l’asta senz’asta, improvvisarla significa semplicemente violare le leggi della fisica. Bach, che era molto rispettoso delle leggi della fisica, chiede cortesemente il permesso di tornarsene a casa per poter degnamente soddisfare quella “interessantissima” richiesta. Federico II acconsente e, volgendosi verso i suoi ospiti, proferisce solennemente le seguenti parole “ah ah ah!”.
Ma l’euforia dura poco. Già il giorno dopo il morale di Federico II se ne era tornato diligentemente al suo posto. Era come se da qualche parte nel suo cervello, in un angolino buio e irraggiungibile sotto strati e strati di cavilli, mascheramenti e autoraggiri, si nascondesse la verità. E la verità era: Bach è meglio di me. Dopo una settimana stava peggio di prima: non dormiva, non mangiava, non impiccava, non faceva più niente, non riusciva nemmeno a suonare. Ogni volta che prendeva in mano il flauto si vedeva subito davanti la faccia di Bach e gli passava la voglia. Avrebbe dovuto dargli un tema più difficile. Per distrarsi un po’ non sapeva se andare quindici giorni al mare o dichiarare guerra alla Sassonia. Purtroppo quello che Federico II non sapeva era che l’unica cosa che poteva veramente tirarlo su di morale era scendere in quell’angolino buio e riesumare la verità, magari avrebbe scoperto che non era poi così desiderabile essere un vecchio cieco, obeso e un po’ bifolco. Magari avrebbe scoperto che alla fine è molto meglio ascoltare Bach che esserlo.
Il colpo di grazia arriva a metà luglio, quando il postino di corte gli consegna con la massima urgenza un manoscritto da Lipsia.


Lipsia, hai detto?

Sì, Maestà.

Non è per me.

Ma c’è scritto “a sua Maestà Re di Prussia Federico II”, guardi.

No, non c’è scritto “Federico II”, c’è scritto “Federicoii”.

Federicoii?

Sì.

E chi sarebbe?

Non ne ho idea, sei tu il postino.

Quindi voi non siete il Re di Prussia, Maestà?

No.

E chi è, allora?

Sei tu.

Io?

Sì, non sei contento?

Non saprei...

Vedrai come sarà felice tua moglie.

Io non sono sposato.

Bravo, ancora meglio. Ora fuori dalle palle, Maestà


La mattina dopo Federico II si ritrova il manoscritto a colazione, infilato sotto il vassoio dei krapfen. Siccome Bach era una persona molto scrupolosa, ne aveva data una copia anche a Cipié. In quel manoscritto non c’era solo la fuga a sei voci, ma anche una sonata per violino e flauto e una serie di canoni in cui il tema originale veniva trattato e combinato in tutti i modi possibili, e anche un po’ in quelli impossibili, come se si fosse trattato di un motivetto qualsiasi. In pratica Bach lo stava sbeffeggiando. Come aveva fatto a scrivere tutta quella roba in appena due mesi quando lui aveva impiegato tre settimane solo a scrivere il tema? Sicuramente non doveva essere un gran che come musica, peccato non avere il tempo di verificarlo. Federico II si alza da tavola coi baffi ancora sporchi di caffelatte e va a mettere quei preziosissimi fogli al sicuro nell’immondizia. Mentre sta per aprire il bidone nota però un piccolo canone a due voci, abbastanza breve da poter essere apprezzato con un solo colpo d’occhio, un piccolo e apparentemente innocuo canone in cui una voce viene sovrapposta alla versione retrograda di se stessa e, cosa strana, funziona.


Visto che roba, Maestà?

Buongiorno, Cipié.

Questo canone è uguale sia suonato da sinistra a destra che da destra a sinistra.

Non ha proprio un cazzo da fare tuo padre.

L’ha composto mentre faceva la doccia.

Il tema era troppo facile.

Mio padre dice che la musica non è una gara di bravura.

Oh, scusa. Mi si sono accidentalmente spiaccicati tutti i krapfen sulla tua faccia.


Bach non aveva neanche chiamato la fuga “fuga”, ma “ricercare”. Che vecchio pedante. Federico II aveva impiegato tutto il pomeriggio solo a scoprire cosa volesse dire (al tempo non c’erano Google e Wikipedia, altrimenti ci avrebbe messo molto di più). Anche se il manoscritto conteneva l’acrostico RICERCAR: Regis Iussu Cantio Et Reliqua Canonica Arte Resoluta, Federico II sapeva bene che in realtà Bach voleva dire: Re Incapace e musiCalmente poco dotato lascia pERdere la musiCA e datti a qualcosa più alla tua portata, tipo il paRrucchiere.
A questo punto non restava che una cosa da fare: un tema più difficile.


(Teoria)

CAMMINARE

NEL REGNO DEGLI ANIMALI

Uno dei motivi per cui mi piace andare in montagna è che si vedono animali che di solito si incontrano solo nel piatto. Come le mucche,


le pecore,


 o i maiali.


Mi viene l’acquolina solo a guardarli. Se poi si è fortunati si possono incontrare anche veri e propri animali selvatici allo stato brado, come le formiche.


Ma l’animale in assoluto più strano di tutti è sicuramente l’homo merendero merendero, volgarmente detto spaccamaroni, se proprio si vuole insultarlo, se no merendero e basta. Ecco due esemplari che saltellano indisturbati fra i pini mughi.


A differenza di altri animali selvatici il merendero non scappa quando sente un rumore, anzi si precipita. Lui stesso leva al cielo frequenti e assordanti muggiti, probabilmente per segnalare la propria presenza a eventuali merendero su Marte. Certamente non ha predatori da temere, essendo le sue carni intrise di una sostanza non commestibile detta crema solare, che secerne in grosse quantità da tubetti esocrini. Per tutti questi motivi è quindi molto facile avvicinare un esemplare di merendero e fotografarlo, e in qualche caso è anche possibile toccarlo, ma attenzione: potrebbe farsi strane idee.
Come si vede in questa foto,


il merendero è dotato di una voluminosa gobba simile a quella dei dromedari, nella quale immagazzina acqua e sostanze nutritive che gli consentono di percorrere anche fino a quindici metri senza fare uno spuntino. Si nutre principalmente di marmotte, caprioli, cervi, camosci, aquile reali, stambecchi, orsi polari e in genere tutto ciò che si muove, purché morto e comodamente infilato in un panino.
Le sue zampe posteriori sono ricoperte di un duro strato di pelle e poggiano su zoccoli spessi e dentellati,


permettendogli così di fare presa su terreni accidentati e spappolare più agevolmente erba e fiori. Invece le zampe anteriori sono sollevate da terra e non partecipano alla deambulazione (un po’ come quelle dei tirannosauri), anche se molti esemplari hanno col tempo sviluppato delle sottili propaggini lunghe fino a terra grazie alle quali riescono a camminare come normali quadrupedi (o tirannosauri con le stampelle).


Come ho potuto constatare di persona, il merendero si sposta sempre in branchi, in coppia o al limite con i propri cuccioli, mai da solo. Per qualche motivo questo animale sembra terrorizzato dalla solitudine, cosa che cerca di evitare con ogni mezzo, compreso l’iPod. Le origini di questa paura non sono ancora note, anche se gli studiosi ritengono che la spiegazione potrebbe nascondersi in questi strani segni sulle rocce.


Un’altra fondamentale differenza con gli altri animali di montagna è che il merendero non vive in montagna. Vive normalmente a fondo valle e sale in montagna solo per nutrirsi, secondo un comportamento che può essere così schematizzato


Ecco per esempio un pascolo di merendero a circa duemilacinquecento metri.


Non è straordinaria la natura? Sì, lo è, e anche il merendero non è poi così male.
Questa specie è molto diffusa su tutte le Alpi e in particolar modo sulle Dolomiti, data la maggiore concentrazione di snack e tramezzini. Qui i merendero si ammucchiano in grandi quantità durante la cosiddetta stagione delle ferie, finita la quale rientrano nelle loro tane in città, si riproducono e l’anno dopo tornano più numerosi di prima. Guardandoli scorrazzare liberamente sui pendii montani e muggire felici sotto il sole, verrebbe tanta voglia di prenderne uno, scuoiarlo e usarlo come tappetino del bagno, ma purtroppo non si può. Pare che la caccia al merendero sia vietata. Strano, ce ne sono così tanti.