TU SI NA MALASANITÀ

Ennesimo caso di malasanità. Un uomo di cinquantasei anni entra al pronto soccorso del Santissima Maria ‘Ncoppa di Caserta per un grave attacco di campanilismo, e dopo due giorni di vana attesa in corsia si ammala di rinofaringite acuta infettiva, volgarmente detta raffreddore. Si tratta naturalmente di una situazione vergognosa e inaccettabile per un paese civile (da qui in poi: SVEIPUPC). Di chi è la responsabilità? Del personale medico costretto a svolgere la propria attività in condizioni a dir poco disagiate o dello Stato? Per non creare inutile suspense, diciamo subito che è dello Stato.
Sono anni che il personale del Santissima Maria ‘Ncoppa denuncia la SVEIPUPC con cui deve fare i conti ogni giorno: strutture fatiscenti e prive di adeguate sale da biliardo, apparecchiature obsolete (c’è chi usa ancora i vecchi iPod da 15 giga), farmaci a malapena sufficienti per i party, ginecologi costretti a lavorare senza preservativo, chirurghi cui non basta il pane per fare scarpetta, senza contare che tutti sono ormai abituati a fare le ore piccole (cioè di quindici minuti) per sopperire alla cronica mancanza di personale (solo un paziente ogni quattro medici, la media più bassa d’Europa).
«Io sono arcistufo!» ci dice con amarezza il professor Giuseppe Arcistufo, primario dell’unità operativa di ortopedia acrobatica, «non avrei mai immaginato di dover lavorare in condizioni del genere, con tutto quello che mi è costata la laurea!». Ci mostra indignato le stanze del reparto di ortopedia e traumatologia, una cosa da non credere: erbacce e foglie secche ovunque, ragnatele, insetti, muffa e persino un nido di topi in un’ingessatura. «Il freddo è insopportabile» dice prendendo il termometro da un paziente: 15°.
E tutto questo per colpa delle finestre aperte. «La ditta che nel 2006 si è occupata dei serramenti del nostro reparto, le ha installate così, completamente aperte» spiega il professore. «Sono delle ottime finestre, robuste, in pvc e con vetri a bassa emissività, ma disgraziatamente sono state montate con le ante aperte, e a tutt’oggi non ci sono i fondi per chiuderle». Ci indica sconsolato la porta-finestra che dà sul cortile interno del padiglione, anch’essa, neanche a dirlo, aperta.
«Per fortuna il clima qui da noi non è particolarmente rigido e avere un po’ di corrente d’aria può essere piacevole, ma non dobbiamo dimenticare che ci sono anche dei malati qui con noi».
La caposala ci spiega che, alle prime piogge autunnali, tutto il reparto si allaga e il personale è costretto a spostarsi da una stanza all’altra a bordo di pazienti. «È una vera e propria SVEIPUPC» ci confida sorseggiando un caffè da una tazzina palesemente non a norma. «Ci siamo rivolti a tutti: Stato, Regione, Provincia, Comune, vicini di casa, ma le nostre richieste sono sempre cadute nel vuoto e ancora oggi il nostro reparto è costretto a operare con le finestre aperte. Non dico accostate o anche solo socchiuse, ma spalancate!».
Sono cose che non dovrebbero mai succedere in un paese civile, ma anche in un paese incivile danno abbastanza fastidio.