VITA DA CAVALLI

Si è spento all’età di ottantasei anni l’attore americano Buffetto, noto per avere interpretato il celebre ruolo di Furia Cavallo del West nell’omonima serie televisiva degli anni Settanta, ma soprattutto per aver condotto fortunati varietà televisivi per RAI e Mediaset sotto vari pseudonimi. Lascia la moglie Zolletta e i figli Nasello, Sgambetti, Ruzzolo, Fischietto, Trotta, Fregolo, Barbuzio, Frontino, Bianchetto, Gibollo, Saracca, Monello, Trastullo, Cincischio e Italo Bocchino, quest’ultimo nato da una relazione con la storica conduttrice del Tg5 Cesara Buonamici e così chiamato dai genitori in onore della loro grande passione comune, l’Italia.
Fin da piccolo Buffetto ha sempre desiderato diventare un essere umano, nonostante il nonno lo mettesse in guardia.


Non devi fidarti degli esseri umani.

Sono stufo di passare le giornate a nitrire, scacciare le mosche con la coda e imbizzarrirmi. Io voglio andare al cinema, prendere l’aperitivo in centro e leggere Marx.

Stai attento, Buffetto. Quando meno te l’aspetti quelli ti macellano, ti affumicano e ti vendono come speck di mulo in un discount cinese.

Sei troppo severo con questa specie, nonno, alcuni esemplari sono simpatici.

Simpatici? Ma se non portano nemmeno i paraocchi!

Loro non ne hanno bisogno.


Buffetto era un cavallo testardo. Nel 1932, a soli nove anni, si traveste da uomo e scappa di casa per partecipare alle olimpiadi di Los Angeles, dove sbriciola tutti i record velocistici: nei 100 metri, nei 200, nei 400 e nei 407, specialità oggi inspiegabilmente soppressa. Il pubblico impazzisce per questo sconosciuto atleta afroamericano e la sua particolarissima tecnica di corsa, finché un giorno, durante la finale dei 1012 a ostacoli invisibili, viene improvvisamente tradito dalla voglia irresistibile di lasciare un ricordo di sé sulla pista, un enorme e puzzolente ricordo di sé. I giudici di gara sono impietosi: Buffetto viene squalificato a vita da tutte le discipline olimpiche tranne il dressage, sport che comunque gli viene tassativamente vietato di praticare a cavallo di un fantino.
Da quel giorno l’esistenza di Buffetto diventa un incubo, qualsiasi cosa faccia, qualsiasi attività intraprenda (sommelier, direttore d’orchestra, istruttore di parapendio, eccetera) viene sempre tradito dallo stesso sgradevole inconveniente. A nulla serve rivolgersi ai medici, i migliori specialisti del mondo, la diagnosi è sempre la stessa: “lei è un cavallo”.
Negli anni Sessanta la sua vita sembra ormai arrivata al capolinea. Vive nei sobborghi di Pittsburgh in un piccolo monolocale senza greppia, solo, caffeinomane, barcamenandosi con lavoretti saltuari e tutt’altro che dignitosi, come il rapper o il consulente finanziario, e con gli abiti umani che gli procurano indicibili sofferenze. Quando qualcuno gli chiede come mai porti sempre gli zoccoli, Buffetto si limita a sorridere imbarazzato, masticando nervosamente qualche zolletta di zucchero.
Completamente disperato, decide di intraprendere la carriera di conduttore televisivo. Prima lavora in piccole tv locali, poi in produzioni sempre più importanti e impegnative dove finalmente si iniziano ad apprezzare le sue doti: il sorriso a quaranta denti, l’irresistibile nitrito e la predisposizione alla monta. Il resto è Storia, anzi storia, anzi storia.
Com’era sua volontà, la salma di Buffetto è stata macellata, affumicata e messa in vendita come speck di mulo in un discount cinese.